Gianni Scupola, benchè dotato di notevole cultura - è laureando in lettere moderne - in arte è un autodidatta. La sua formazione manifesta chiari segni di una suggestione artistica tardo - egizia. I bassorilievi rivelano non un'imitazione, ma una iperrifessione di un mondo storico non interrotto, che ha una sorta di nemesi nella ricreazione di una semplicità quasi bucolica. Il suo stile - che di stile deve parlarsi, anche se il tirocinio è da poco iniziato - evidenzia, in una plasticità rigorosa, le linee di un felice esercizio, attraverso stadi di acquisizione e di ripresa, fino al dominio di una tecnica o, se più piace, di una metodogia. Le forme sono tutt'uno coi contenuti che familiarizzano con l'immagine sociale pensata ed estroflessa verso esiti realistici. Gli elementi costituitivi del corpo dell'oggetto artistico non sono percepibili che in un contesto totalizzante, come in una analisi tutta gestalica. Il suo programma d'arte sta nella collocazione delle immagini e delle figure in uno scenario dinamico che muta con la dialettica della vicenda umana. Parlare di uso o di abuso cromatico, di proporzioni o sproporzioni di dimensioni anatomiche (motivo esemplare il monumento dei caduti di Specchia) è come deviare il discorso della personalità artistica di Gianni Scupola.
Chiedevo a Giovanni Scupola di dirmi quale, secondo lui, fosse l'humus in cui ha coltivato, e coltiva, la vicenda della sua ricerca pittorica. Schivo, come ogni artista timoroso di uscire dai confini delle sue specifiche abilità, tuttavia Scupola mi ha offerto la cifra esatta della sua arte: parlando di humus, la terra leccese, quella che va dalla preistoria dei dolmen e dei menhir dei giardini di Melendugno e di Acaia, ai truddi delle piane interne del Salento, al Rinascimento fiorito di Santa Croce di Lecce. Non v'è dubbio che la prima anima della sua scultura, la stessa scelta di materiali poveri, nasca proprio dall'attenzione, anzi dal turbamento dell'anima sensibile di un artista di fronte al lavorio del mare alle grotte di Poesia, alle trinature infinite del salino sulle scogliere di San foca e Roca li Posti: ricami barocchi naturali che il tufo leccese, che s'indurisce all'aria, riproduce nelle facciate delle tante e tante chiese antiche dello zoccolo salentino, da Lecce a Otranto da Gallipoli a Soleto. Oppure le conche, le colate fredde a picco sul mare dalla costiere orientale fra Santa Maria di Leuca a Porto Badisco, e le bizzarrie ventose della Zinzolusa. Quasi scavando nel suo passato di ragazzino che seguiva il padre costruttore di quelle meraviglie dell'arte e della natura che sono i muri a secco che ancora oggi separano i giardini salentini, Scupola scopre il mistero della forma plastica nell'aria limpida del profondo Sud, fra il rosso della terra fertile, il turchino del cielo e l'azzurro - smeraldo del mare. Una scoperta che avviene col sentimento, nell'intelligenza della conoscenza: così alla fine - o all'inizio - della sua prima storia, Scupola scopre l'antichità italica, che studia all'Università leccese nella facoltà di Lettere, ma scopre anche la primitività dei maestri del Novecento occidentale: Arp, Brancusi, Laurentis, Moore. Nessuna contraddizione: anzi, una continuità esemplare che si concretizza in un percorso, ancora in atto, che non può che essere come è stato, viste le premesse. Un percorso che sa di antico nella misura identica con cui si esprime modernamente. Il sud d'Italia manifesta da sempre una predilezione naturale, istintiva, per la solidarietà piena delle forme, e questa solidarietà non può indugiarsi negli ingorghi d'ombra: ecco il nitore e la levigatezza dei marmi di Scupola. Ma non basta questa istintività nativa a spiegare la linea morbida, la sinuosità erotica delle sue donne, l'abbandono sentimentale dei suoi volti: c'è qualcosa d'altro ancora. E' questo qualcosa credo che sia l'incontro con un grande della scultura europea che qualsiasi artista attento e sensibile conosce, ama e dal quale si sente irresistibilmente attratto: Arturo Martini. Anche per Scupola, credo proprio che, prima di Arp, Brancusi, Laurens, Moore, venga la grande lezione di Arturo Martini e la sua spavalda coniugazione dell'ultimo Decò di Wildt con l'Espressionismo nordico e il plasticismo classico. Da queste premesse muove la mia riflessione sull'arte di Scupola, non tanto per presentarne la leggibilità, che mi sembra facile, piacevole; anzi, a volte addirittura fin troppo accattivante; quanto per mettere in guardia chi lo osserva dal credere che sia tutto facile, tutto scontrato in questa scultura dal tratto gentile. Nulla di più superficiale: la scultura di Scupola ha la complessità dell'arte che nasce matura in un contesto raffinato, intrecciato di mille percorsi, qual è il tessuto salentino e in questo intreccio, il sole, il cielo e il mare hanno la loro parte non secondaria. I suoi busti di donna, le sue Maternità, i Nudi femminili o le Bagnanti o gli Amanti sgusciano dal pietra leccese, dalla pietra pomice o dalla pietra di Carovigno con la scioltezza di un gesto di danza: sanno di un soffio di vento e non sono pesanti. Però, se vi soffermate con più attenzione, scoprirete che la plastica di Scupola contiene un dramma interno, uno slancio segreto che ha un sapore di antico. Vi propongo un esempio: confrontate Figura di donna (pietra leccese 1991) con certi bronzi di guerriero italico dai larghi cappelli; oppure mettete fianco a fianco Figura accovacciata (pietra leccese, 1994) con le figure suonatrici del Trono Ludovisi. Non si tratta di impossibili confronti; si tratta di comprendere che il sentimento creativo di Scupola si lascia sfiorare volentieri dalle dolcezze delle sinuosità e dalla pienezza dei corpi. Poi subentrano i tagli dell'insoddisfazione tutta nostra e così il suo animo si volge a Brancuso e a Laurens, e poi ad Arp e a Moore: attraverso la classica semplificazione della loro plastica recupera un gesto fatto ora più di silenzi e di interruzioni: ellissi di un discorso tutto lirico, che suona. Sì, in certe sculture pare di avvertire un suono: Figura di donna (bronzo del 1988), Amanti (pietra leccese, 1993) ed altre. E' lo stesso suono che accompagna la monumentalità maestosa di Moore, e la preziosità di Arp. In questa polifonia, la sinfonia di Scupola gode di una tonalità sottile, leggera, quasi sfiorata in punta d'archetto. Ecco: vorrei parlare proprio della musicalità di questo scultore, perchè alla fine, mi sembra che questa sia la sua cifra più significativa. Una cifra tutta novecentesca, che lo differenzia dai suoi coetanei informali e astratti e lo restituisce ad un ambito di ricerca dagli aspetti ondivaghi fra il Surrealismo di origine picassiana (non gli sono ignoti i bronzi del giardino del Muse, e Picasso di Parigi) e le soluzioni più ardite delle armonie di Max Bill. Strade limpide e intrecciate: anche in questo un perfetto contenporaneo, a suo agio fra le infinite melodie delle moderne Circi.
Fu nel lontano 1974 che, per puro caso, ho conosciuto lo scultore Giovanni Scupola. Ero venuto a passare una vacanza con la mia Famiglia a Specchia, mio paese di origine; un piccolo centro situato nel sud Salento, tanto decantato per il clima e per le meraviglie dell'arte. Camminando vicino ad una piazzetta alberata e circondata da un'impalcatura, sentivo il tintinnio di un mazzuolo e scalpelli. Un giorno volli fermarmi per curiosare cosa stessero facendo e notai così un ragazzo, appena ventenne, intento a sgrossare un monolite di circa quattro metri. Inizialmente non volli disturbarlo ma mi piaceva vederlo lavorare, successivamente feci notare la mia presenza e gli chiesi cosa stesse facendo ed egli mi rispose che stava lavorando per eseguire il monumento ai caduti della guerra e del lavoro. Io però non riuscivo ad evidenziare nessuna figura che avesse un benchè minimo riferimento ad eventi bellici, notavo soltanto figure igniude che si abbracciavano. chiesi così chiarimenti in riguardo ed egli mi spiegò che, in verità, non aveva nessuna intenzione di raffigurare immagini militaristiche, tipiche di tutti i monumenti ai caduti. Egli voleva dedicare questo monumento all'amore, in senso assoluto ad alla Famiglia, che è il mattone di ogni civiltà. La guerra, mi spiegò, è voluta da poche persone cattive e perlopiù avide di potere e così non voleva fare un monumento che elogiasse questi principi, ma il contrario. Da quel giorno non persi più di vista quel ragazzo ed ho seguito con interesse il Suo operato artistico. Mi ha impressionato la Sua prima mostra a Verona, a Lucerna in Svizzera ed il Suo primo monumento di bronzo. Oggi a distanza di più di vent'anni, non ho smesso mai di entusiasmarmi davanti alle Sue opere, siano esse piccole o grandi dimensioni. Di solito predilige scolpire su pietre di poco valore commerciale, anche se a volte ha realizzato sculture in marmi pregiati e bronzo. Un giorno, nel Suo laboratorio, mi illustrava che le sue fonti di ispirazione sono le immagini delle culture archaiche, cariche di profondo senso religioso alle quali si mescolano come in un calderone, le esperienze artistiche contemporanee; il risultato è un'arte tipicamente scupoliana facilmente individuabile e caratterizzabile. Il tema dominante è la figura di donna, archetipo da cui noi tutti deriviamo, vista in tutte le sue sfaccettature plastico - espressive. A volte è rappresentata, svuotata da alcuni elementi corporei, a volte i volumi si riempiono, eludendo chiaramente al tema della maternità; in entrambi i casi, comunque, l'immagine è rappresentata carica di significati e d'energia vitale, in un contrappunto di pieni e di vuoti che danno l'dea di una struttura ben salda alla madre terra ma che allo stesso tempo, come una molla, si libera nell'aria. Non si sono ragionamenti preordinati nelle sue forme plastiche, tali da renderle artificiose e fredde, bensì istinto, ripulito dal superfluo rifinendo all'estrema perizia tecnica ogni minimo dettaglio. Ultimamente e concludo, il mio pensiero per l'Artista Scupola, si è avvicinato, sotto certi aspetti, alle culture orientali, per attingere da esse quello che noi occidentali abbiamo dimenticato: la spiritualità, l'amore per il prossimo e per tutto ciò che ci circonda a l'atteggiamento positivo nei confronti della vita vissuta con semplicità e generosità. Alcune sculture difatti, rappresentano figure in posizione yoga (disciplina che egli stesso pratica), in tali opere si evidenzia chiaramente questo ultimo aspetto dello scultore. Considero questo mio scritto un semplice e sincero pensiero, che da tanto tempo volevo esprimere nei confronti di un grande Artista che mi onora della Sua Amicizia, e non una citazione critica.
Giovanni ha avuto un tempo lo studio in via Palmieri, una via del centro storico di Lecce; due belle stanze grandi dalla volta in muratura, quando la muratura era arte. Io andavo a trovarlo qualche volta. Sono rimasto sempre legato ai miei ex allievi, ma in modo particolare a quelli che mi fanno andare orgoglioso di averli avuti a scuola. Entrare in quelle stanze dove Giovanni lavorava, era come porre l'occhio all'oculare di un caleidoscopio, tante erano le forme esposte e la loro variabilità al cambio del punto di osservazione. Uso io termine caleidoscopio per indicare una vivace e sempre sorprendente creatività del nostro scultore, come espressione di stati d'animo e impossessamento di forme colte nel fluire delle sue giornate. Questo perchè spesso si è portati a cercare, nell'osservare una serie di opere, riferimenti stilistici con altri autori, invece di domandare il motivo di tanta varietà, quando non si riferisce addirittura per bollarla come incapacità di coerenza formale. Io penso, che come avviene per il musicista, il quale trae spunti ritmici o tematici, che so, dal battere distrattamente di un ragazzino su di un barattolo o dall'insieme di voci e rumori di una stazione ferroviaria, così che opera nel campo delle arti visive è spinto dalla sua sete del vento, una chioma scomposta della corsa, una smorfia di tensione di un atleta. Sono certo che da ciò deriva la singolarità e l'unicità di ogni sua scultura; oltretutto non è possibile duplicare un'emozione. A me questo piace perchè è contro quegli accordi capestro con i mercanti, che spesso impongono dimensioni, soggetti e quantitativi delle opere. Da questo, inevitabilmente viene fuori la ripetitività e tematica e formale, non essendoci il tempo per la ricerca, che viene scambiata per incoerenza stilistica. Da sempre ammiro di Giovanni il gusto del "rischio" nel portare al limite della resistenza il materiale lavorato, come quando si lancia un grido acutissimo, oltre il quale c'è l'afonia, cioè la rottura del pezzo. Un'altra sua peculiarità è l'uso di materiali diversi, sia per avere delle rese particolari delle superfici, sia per avere dei risultati cromatici in funzione della forma, come alcuni pezzi ricavati da blocchi di calcite. Ma una cosa importante, a mio avviso, è che lui sta portando fuori anche la nostra pietra leccese (che io amo tanto). Materiale povero, ma di grandi rese chiaroscurali, che ha permesso di dare una fisionomia a una città e che è un dono della pazienza della sedimentazione e dell'ira dell'abisso, che millenni fa l'ha spinta dal fondo del mare alla luce del sole. Il sole del sud.
Dopo aver a lungo indagato nel tema della figura umana ad espresso attraverso di essa il senso di sofferenza e di ineliminabile condizionamento della vita, Scupola apre un nuovo capitolo nella sua continua e instancabile attività artistica. La sua ricerca è volta, ora, alla realizzazione di forme che si esprimono e si sviluppano in modo libero e imprevedibile, attraverso superfici perfettamente levigate o appena abbozzate, spigoli vivi o curve dolcemente sinuose, spazi ampi o improvvisamente interrotti. La scultura, per Scupola, non è più intesa come opera in se chiusa e completa, strutturata secondo un ordine prestabilito o una organizzazione simmetrica (la figura umana, appunto, per quanto precedentemente fosse schiacciata o quanto precedentemente fosse schiacciata o dilatata), ma come forma che si "autoproduce", che si sviluppa in varie direzione secondo un progetto, che può sembrare, di tipo casualeprobalistico. Vi è in questa nuova esperienza una sorta di ritorno alle origini: dalla figura umana verso forme viventi più arcaiche, un camminare dalla storia alla natura, alla ricerca cioè di quei meccanismi che, secondo continue combinazioni, hanno prodotto l'apparire della vita.
Quanto l'esperienza della fanciullezza possa incidere sulle scelte future è difficile misurare, certo è che la manipolazione della pietra fatta già da ragazzo al seguito di suo padre, muratore addetto alla costruzione di muri a secco, deve aver se non altro aiutato Giovanni Scupola a capire quale poteva essere la sua vocazione. Non è casuale che a quattordici anni al momento di scegliere il tipo di studi abbia deciso di iscriversi all'istituto d'arte di Lecce, alla sezione scultura. Un iter formativo scolastico probabilmente senza particolare peso se non nel senso di un progressivo convincimento della strada intrapresa e di un primo approccio alle problematiche tecnico - operative. C'è un altro momento, credo, importante della sua formazione culturale che deve aver avuto ben altre conseguenze, gli studi storico - artistici presso il corso di Laurea in lettere dell'Università di Lecce che hanno avuto esito nella discussione di una tesi di Laurea in Storia dell'Arte. Il livello e l'ampiezza dei referenti culturali nello specifico ambito artistico devono essersi definiti proprio durante la formazione universitaria. Non si tratta naturalmente di una componente direttamente traducibile in maturità artistica, ma, sicuramente, la presa di coscienza delle problematiche critiche ha avuto conseguenze sulle sue ricerche e sul suo atteggiamento nei confronti della storia artistica contemporanea. Egli, cioè, ha avuto modo di intendere appieno che per dare oggi senso alle proprie scelte espressive, è necessario fare i conti con l'intero percorso della scultura contemporanea. Poteva essere ad esempio facile agganciarsi direttamente a quel filone di ricerca che aveva inteso liberare l'espressione da ogni vincolo di figuratività naturalistica e dai relativi processi tecnico - operativi per affermare la piena autonomia della forma, un filone che sull'esempio offerto dai maestri delle avanguardie storiche, s'era andato affermando in Italia nel corso degli anni cinquanta. Ma Scupola ha scelto in certo modo la via meno facile per provare non solo agli altri ma anche a se stesso che la qualità è il risultato di una notevole padronanza tecnico - operativa, della conoscenza dei fondamentali principi formali sperimentati dalla scultura moderna e di una autentica libertà inventiva che, solo su quelle basi può dispiegarsi. Entro le modalità espressive contemporanee la rappresentazione plastica della figura umana ha costituito un significativo campo di sperimentazione, tanto significativo che non sembrava aver esaurito tale sua potenzialità. E' per questo che Giovanni Scupola ha fatto inizialmente una tale scelta di campo con esiti che denunciano inevitabilmente i limiti di un approccio propedeutico, ma che hanno rivelato subito le sue potenzialità vocazionali. E che ciò sia vero è dimostrato da un nutrito gruppo di opere che si situano fra l'82 e l'83 e che possono considerarsi il primo frutto maturo della sua ricerca sulla figura umana alla quale egli aveva dedicato un congruo numero di anni. Una maturità ravvisabile innanzitutto nell'evidente progressivo affinamento tecnico - operativo, riferibile certamente anche alla maggiore attenzione alle qualità espressive dei materiali (l'abbandono del legno per la pietra pare aver avuto questa motivazione), ma anche per l'altrettanto evidente approfondimento storico, che lo ha posto in condizione di confrontare le proprie soluzioni espressive con quelle ad esempio di un Moore o di Laurens. Rilevante in questo senso è il definirsi di una concezione plastica che per il tramite della figura sa recuperare una nuova monumentalità. Particolarmente significative, le opere dove la figura tende a chiudersi in una sorta di isolamento quasi costretta dalla propria condizione e dal proprio peso materiale. Quello che occorre ribadire è che le soluzioni che egli di volta in volta adatta si muovono ormai con estrema disinvoltura attorno al concetto di volume plastico, nel suo doppio senso di volume massa e di volume vuoto, in rapporto allo spazio, per cui acquista sempre più importanza il modellato e la sua qualità fisica. Ma, va subito detto e chiarito che Scupola non ha affidato alla preziosità e raffinatezza naturali dei materiali la ricerca di tale qualità. Le sue non sono quasi mai pietre pregiate, più spesso materiali comuni. La virtù dello scultore sta allora nella sua capacità formante, nel suo saper adattare le qualità specifiche dei materiali alla forma inventata. In questo senso la manualità come intervento diretto dell'artista resta fondamentale, anche se, come generalmente avviene, arricchita dalla strumentazione meccanica. Ciò si è rivelato pienamente quando dalla rappresentazione della figura umana è passato ad una ricerca "non figurativa", una scelta che non ha la provvisorietà dei tentativi fatti tra l'80 e l'81, ma appare ormai definita nella sua valenza espressiva e poetica. Tanto più che cade subito dopo i suoi maggiori raggiungimenti a livelli di plastica figurativa. Più in generale tale scelta sembra porsi sul versante di quelle ricerche orientate a riconfermare la vitalità della scultura, nella sua più autentica tradizione moderna, nel senso cioè di un ripristino della scultura come entità plastica e strutturale. Che molte delle opere "astratte" di questa fase siano come lo sviluppo della figura umana, potenziale indiscutibile di forme nella sua strutturalità polivalente, non v'è dubbio. La qualità rifinita delle superfici, distese o profonde, definite o dinamiche, sembra ora avvalorare il rapporto delle forme con lo spazio, ed immettere gli oggetti quali esseri viventi nel loro mondo naturale. Le pietre stesse utilizzate, nella loro qualità ambientale sono, per la maggior parte, dei luoghi frequentati dall'artista. E nella loro "povertà" sembrano averlo indotto a riscoprire in un certo senso l'essenza di questo mondo naturale. Il punto di partenza sono i segni visivi della natura e della storia, che nel caso del Salento sono identificabili nella qualità strutturale ad architettonica del suo paesaggio ma soprattutto, per l'occhio attento di uno scultore, in quei "misteriosi" documenti della civiltà arcaica che sono i Dolmen ed i Menhir. Recuperare quella stutturalità primitiva con tutta la carica simbolica che essa è capace di portarsi dietro, nella convinzione che solo attraverso un addentrarsi nelle radici profonde del proprio "etnos" sia possibile cogliere il senso vero della propria natura e della propria storia, questo sembra l'obbiettivo della sua attuale ricerca. La configurazione plastica delle ultime opere è la coerente espressione di questa sua ricerca, che, forte della sua maturata capacità tecnico - operativa e dell'acquisita lezione della moderna tradizione scultorea, può ora liberamente dispiegarsi. Non si tratta della ricerca di una particolare identità archetipica, quanto della traduzione in segni tangibili di una idea, ancora vitalmente presente, del Salento arcaico. La scultura si afferma pienamente come entità plastica e strutturale, il cui significato è tradotto dalla particolare configurazione formale. Nelle qualità formali delle superfici non è difficile rintracciare la lezione di un Arp, ma ciò che definisce originalmente le sculture di Scupola è la relazione che le forme intrattengono con lo spazio, soprattutto là dove l'oggetto si articola in più elementi e la logica compositiva sembra essere architettonica. Allora il tema sembra essere il rapporto strutturale tra le opere dell'uomo e il paesaggio naturale, un rapporto che è coinvolgente, proprio come tali composizioni lo impongono all'osservatore. E' tale la sicurezza e la padronanza con cui l'operare di Scupola si presenta nelle ultime opere, che altrettanta consapevolezza sembra caratterizzarne l'intenzionalità ideo - culturale concretamente connotatesi in questi suoi nuovi segni del tempo: - un promemoria per il nostro tempo così sensibile verso i valori storici ed ambientali ma anche così restio a salvaguardarli?